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4 chiacchiere con Gianni

Cari amici,

nell’universo della casa famiglia  vi sono dei personaggi fondamentali, oltre che per il loro servizio, per la capacità di risolvere piccoli problemini di fai da te di normale amministrazione.

E’ il caso di Gianni, una colonna del volontariato genovese, oltre che nostro paziente “risolvi tutto” … ecco in un pomeriggio un pò più tranquillo la nostra chiacchierata

 Per te cosa vuol dire fare il volontario?

Innanzitutto bisogna distinguere cos’è il volontario da cosa dovrebbe essere. Il volontario è quella persona che presta servizio gratuito verso una persona non autosufficiente per fare le cose ordinarie della giornata: andare in bagno, o a letto, o alzarsi, o mangiare (per le persone con scarsa mobilità). Ora vediamo cosa dovrebbe essere. Siccome i servizi prima descritti dovrebbero essere le istituzioni a garantirli (Stato o enti locali, sanità pubblica, ecc.), però è evidente che queste sono ampiamente insufficienti come organico e come mezzi, si ricorre al volontariato, mentre a mio parere questo dovrebbe essere limitato ad altre mansioni non “assistenziali”, come per esempio intrattenimento e compagnia, accompagnare ad uscite per acquisti, commissioni, svaghi, e cose varie che rendono piacevole la vita e che tolgono peso all’handicap… ma purtroppo credo che questa sia solo utopia.

 

Perché hai deciso di essere un volontario?

Tutta colpa di mia moglie: quando l’ho conosciuta era diversi anni che lavorava in una scuola di riabilitazione per ragazzi in carrozzina. Il fatto è che dopo i giorni di lavoro, anche al sabato-domenica lei andava a trovarli a casa, e spesso li accompagnava nelle loro uscite. Quando l’ho conosciuta sono stato risucchiato in questo giro, perché ho scoperto che era un ambiente e una attività molto coinvolgente, che non conoscevo prima. Da allora non riesco più a concepire una vita senza volontariato. Tra l’altro lei frequentava Rosanna Benzi, una ragazza che ha vissuto 29 anni in un polmone d’acciaio, completamente immobile, ma con tanta grinta e motivazione nell’operare nel mondo dell’handicap, tanto che nonostante la sua disabilità era direttrice di una rivista sull’argomento. La sua casa (una stanzetta nell’ospedale S. Martino) era diventata il nostro punto di riferimento, quasi una seconda casa.

 

Perché proprio delle case famiglia?

La cosa è stata casuale: dapprima, come dicevo, era un volontariato “domestico”, fatto andando a trovare  a casa le singole persone, poi (anni 1980-2009) prestando attività di volontariato in un soggiorno estivo in una ex-colonia del Comune di Genova a Crocefieschi. Poi, quando nel 1995 ha aperto la Casa Famiglia Rosanna Benzi, e noi, con quello che Rosanna rappresentava per noi, non potevamo starne fuori. Io avevo preso a far volontariato per tre giorni alla settimana.

 

Hai mai avuto dei momenti di difficoltà?

Sì, direi almeno due che vale la pena raccontare. Il primo, era il primo anno di attività di volontariato a Crocefieschi, ed ero trascinato solo dall’impeto dell’entusiasmo e della gratificazione. Un giorno sentivo i discorsi tra i “monitori” (il personale stipendiato che operava in colonia per garantire una presenza oltre ai volontari), e tra questi una diceva con aria sarcastica se non addirittura derisoria: “Chi è un volontario? È quella persona che quando muore va in paradiso”. E gli altri a ridere… e io che ascoltavo, che ascoltavo, ero fresco dell’ambiente, non avevo ancora fatto una vera introspezione per capire quali erano le mie vere motivazioni, sono entrato in crisi, e non mi vergogno a dire che ho anche pianto: “perché sono qui a fare il volontario? Cosa cerco da questa mia attività? Lo faccio davvero per cercare il paradiso o per altre motivazioni egoistiche (autogratificazione: sentirsi brave persone, oppure cercare apprezzamento dalla gente, o non so cos’altro)? Veramente non sapevo darmi una risposta, e per anni mi sono portato avanti questo dubbio, per altro non ancora completamente risolto.

 

Puoi raccontarne uno?

Cioè un altro… ok. Qualche anno fa militavo in Casa Famiglia Benzi, quando era entrato un nuovo ospite disabile, che però era pieno di iniziative, idee di cose da fare per uscire insieme, di attività ludiche o di autofinanziamento… un momento bellissimo, finche… Un brutto giorno tutto si è capovolto: senza entrare nei particolari, durante una riunione ha fatto un discorso che ha rovesciato tutto il suo modo di essere, non era più ottimista come prima, si arrabbiava per niente, non gli andava bene niente, se la prendeva con tutti per ogni minima cosa… Mi dicevano che era per le cure che faceva per la sua disabilità, e allora sopportavo. Questo finché ho visto che si era formata una specie di coalizione tra i disabili (residenti e ospiti) contro gli operatori, volontari e organizzazione. Non capivo più cosa volessero ottenere da noi, che atteggiamento dovessimo adottare… Finché mi resi conto che la loro mira era semplicemente quella di non avere più volontari in casa famigli. Infatti, uno dopo l’altro i volontari hanno trovato scuse varie per defilarsi, e così anch’io mi sono rassegnato e me ne sono andato. Da notare che in uno degli ultimi discorsi che uno di loro mi fece era: “Tu sei un drogato di volontariato”. Lì per lì lo vedevo quasi un’offesa (drogato…), ma poi mi sono reso conto che aveva ragione: subito dopo aver lasciato quella casa famiglia, ne ho cercata subito un’altra che mi garantisse la mia “dose” di volontariato che avevo cominciato a constatare come indispensabile nella mia vita.

Da quanti anni sei volontario?

Dall’agosto 1979, cioè quest’anno faccio 41: bastano per andare in pensione? Spero di no!

 

A questo punto, Una voce da un’altra stanza lo chiama, e come sempre ” Nadia, grazie per la chiacchierata, mi chiamano di la, a dopo.”

Grazie a te Gianni per aver risposto a queste domande.

Amici, poco alla volta il nostro viaggio tra i volontari si arricchisce di nuove figure con il loro vissuto e le loro sensazioni, non trovate sia un viaggio interessante anche questo?

…ci vediamo in girooooooo.

Nadia

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